( … ) e ognun va solo
col mistero di sé, fino alla morte.
Nel 1926 arrivò quasi al Nobel. Ma lo diedero a Grazia Deledda. Alla Negri no perché (si vocifera) era dura contro la Chiesa…
Un fratello è una delle sue poesie che ci fanno capire la modernità, l’attualità di questa intellettuale. Due paginette in rima, ma abbastanza per capire l’essenza vera di un essere umano. Uno dei tanti scritti meravigliosi e significativi di Ada Negri.
Aderì al fascismo, ma occorre ricordare di lei le sue prese di posizione in politica (già da giovane), l’impegno sociale, la polemica contro lo stato borghese e, in generale, contro i ricchi…
Sì, occorre leggere e rileggere gli autori italiani “storici” (non solo quelli famosissimi). Io sono entusiasta del valore della nostra letteratura e della nostra poesia di inizio del secolo XX. Ma anche della letteratura e della poesia di fine 900. Ho riscoperto gli Scapigliati (sorta di nostrana Beat Generation!), nonché tutta una serie di donne dallo spirito indipendente; fantastiche, intelligenti. Tra di loro, Matilde Serao e (davvero bravissima) la romanziera Grazia Deledda.
E ora scopro (riscopro) Ada Negri.
Certe donne italiane sono all’avanguardia nel mondo. Altro che rammendacalzette e succubi del patriarca di turno!
Purtroppo gli ultimi 30 anni, dove loro sono state vendute come “bambole gonfiabili” – e accorse in massa ai bungabunga -, hanno arrestato il processo di emancipazione, temo. La Negri era molto più emancipata di tante nostre coeve…
ADA NEGRI
(1870-1945)
UN FRATELLO
Ti fui compagna per le ignote strade
del mondo e all’ombra dei crocicchi, in una
vita lontana che fu mia, fu mia
come questa non già che s’attorciglia
al mio collo e al mio cor, segni imprimendo
di ferro e corda nelle nude carni.
Avevi, come adesso, una giacchetta
logora, un viso a lama di coltello,
una bocca di fame e di sarcasmo;
e andavi senza meta, e andavi senza
dolore, solo con la tua miseria,
e gran signore della libertà.
Lo so.—Per te non c’era e non c’è posto
nel mondo disegnato a quadratini
ben distinti, con cifre di classifica
ben chiare.—V’è qualcuno che ti crede
un barbaro—e ti esecra—ed ha paura
di te.—Non io, che son della tua razza.
Non mi conosci più?… Forse ti sembro
più bella adesso, flessuosa nella
sottil guaina di velluto fulvo
che mi fa somigliare a una pantera.
So pettinarmi a onde, con la grazia
delle dame che passano in carrozza;
e fingere il sorriso, anche nell’ore
dello strazio, e mentire una promessa,
e offrir la mano e il thè, soavemente,
a chi, se volga il dorso alla mia soglia,
fa la mia vita ed il mio nome a brani.
Ho braccialetti d’oro; ma mi pesano
ai polsi. Ho una collana di rubini,
ma non la metto, ché mi par la riga
vermiglia incisa dal capestro al collo
d’un «sospettato» del Novantatrè.
Sono rimasta zingara, nel fondo
del cuore.—Non si mente al proprio sangue.
E t’invidio…. Tu sei libero e forte:
non hai padre, né madre, né fratelli
che vivano di te, che al tuo destino
s’aggrappino: il tuo letto è nell’Asilo
Notturno: la tua casa è tutto il mondo.
Domani puoi senza rimorso ucciderti,
per compiere una tua vendetta oscura
contro la vita.—Amare anche tu puoi,
una donna o un’idea perdutamente
amare; e viver per l’amor tuo grande,
poi che intatto ti resta il tempo e il sogno.
Forte e libero tu fra tanti schiavi,
addio. Colei che passa è tua sorella;
ma la folla l’inghiotte—e ognun va solo
col mistero di sé, fino alla morte.