Kaddish – parte 1

Dal libro Doktor Wolf – storia di Hitler e del nazismo, di prossima pubblicazione.

 

‘Oggi mi è difficile, se non impossibile, dire quando è stato che la parola “Jude” mi spinse a particolari pensieri (…) A Linz di ebrei ce n’erano pochi. Nel corso dei secoli il loro sembiante si era europeizzato, diventando umano; io li scambiavo addirittura per tedeschi…’

 

(Dal Mein Kampf)

 

 

 

Nevica fitto, a grossi fiocchi: come si addice al loro 31 dicembre. Il suo – Rosh Hashana – lui l’aveva festeggiato in solitudine e segretezza, senza la tradizionale mangiata di carpe ripiene. Nevica, nevica, e Paul, abbarbicato alla finestra, stupisce: ha colto, nel silenzio bianco di presentimenti, questa frase: “Gli uomini derivano dalle scimmie. Tutti, tranne noi ariani”.

La visibilità è ridotta. Per le strade non c’è quasi vita, né movimento. “È la guerra” pensa. Questa constatazione non lo rattrista più di altre: un governo irruento, sorto in seguito a un conflitto perduto, a uno sfavorevole trattato di pace e agli ineluttabili vizi di una democrazia immatura, può essere sbaragliato forse solo grazie a una nuova catastrofe globale. “La guerra” pensa. E guarda giù pieno di apprensione, continuando nella sua esplorazione di ombre. Può darsi che spuntino da dietro un angolo, da un secondo all’altro: i sicari del diavolo. Sciagura grandissima, sì; per noi, prima di tutto. La shoah… È in corso un sempiterno duello tra Iddio e Satana, Jahwe e Beelzebub, gli Ormzud e Ahriman dei persiani, Allah e Iblis per gli islamici. Ma stavolta lo scontro è impari.

Da qualche giorno alloggia in via dell’Anno di Ieri, in un’antica costruzione signoresca che i nuovi proprietari hanno restaurato alla meglio e suddiviso in numerosi locali. Sistemazione non proprio invidiabile, come lui stesso deve ammettere. Anzitutto, il riscaldamento lascia a desiderare e una coperta gettata sulle spalle dovrebbe servire a non far gelare le ossa. E poi la casa è piena di SS e di gojim fedeli a Hitler. Paul passa per un goj. Lo credono uno studente che si prepara agli esami presso un ateneo del grande Reich. Paul in fondo è un nome cristiano. Un suo cugino si chiamava Peretz… “Cos’è un nome. L’ebreo Joshke voi lo chiamate Gesù.”

La sera precedente, a cena, la signora gli ha dato un bel trancio di carne di maiale, pensa un po’. E lui ha azzannato il cibo peccaminoso esclamando: «Giuda crepi!» Al che, gli sgherri di regime gli hanno sorriso à l’amiable. Nessuno ancora gli ha chiesto come mai ha quel buco in fronte (il bel ricordino lasciatogli dagli inquirenti di stato). Nessuno gli ha abbassato i calzoni per appurare se sia circonciso o meno. Lo scambiano per uno di loro. Si salverà, forse.

Scamparla. Ma… per quali uomini? Per quale futuro? La fine di tutte le cose è prossima. Ancora un’oretta o due e torme ubriache si riverseranno in ogni via e in ogni vicolo, a festeggiare; sia pure in modo marziale. Adesso bevono birra, presto berranno plasma umano. Adesso fanno luce con le fiaccole, presto trasformeranno in fiaccole le case. Paul dovrebbe mettersi a letto. Ma. Sonno? Chi può trovare sonno, mentre Troia brucia?

Ebreo. Ma non parlava l’ebraico; e l’yiddish solo a malapena. Parlava il tedesco. Senza accento. Anche i suoi genitori parlavano il tedesco e sulla loro porta non avevano la mezuzah da baciare, e nondimeno li hanno trascinati via. Gli altri familiari erano pure loro linguisticamente conformati, seppure calcassero sulle sillabe quando si esprimevano in tedesco. Soltanto i nonni… Shloime lui, Revke lei. Nati a Minsk (o Pinsk?). Russi fino alle midolla, ma disconoscevano il russo. L’yiddish era di casa da loro. Anche il padre di Paul alla scuola dei rabbini non aveva parlato altro. Il tedesco era venuto appresso. Diciamolo pure: figli di Abramo. Ma non si sentiva di addossare loro la colpa: nessuno può essere ritenuto responsabile della sua razza o del suo luogo di nascita. Anzi: si era fieri di essere quel che si era! I nonni avrebbero desiderato che Paul crescesse come un bravo ebreo e per questo chiamarono il kohen. Il kohen, diretto discendente di Aaron, va in giro a benedire la gente a ogni festa e si occupa della cerimonia della circoncisione. (Ma è il mohel, il medico, ad asportare il prepuzio.) Un taglietto da nulla aveva reso Paul ebreo a tutti gli effetti. E per questo, solamente per questo, adesso era ridotto simile a un dibbuk, lo spirito di un morto che vaga alla ricerca di un corpo da abitare? E ciò vita dolor durante?

In Germania erano comprese le schiatte e le nazionalità più svariate. Perché proprio gli ebrei dovevano essere giudicati un “ramo senza cultura” anziché, poniamo il caso, gli stessi germani? I semiti, sì, sono considerati fratelli, o cugini, dei beduini. Questo può anche essere vero ma c’è da dire che, nell’evo in cui gli ebrei vivevano nel deserto dentro una tenda, i germani stavano ancora nudi sotto le stelle.

Il rabbino aveva narrato, a un Paul ragazzino, che Dio ha fatto il mondo in sei giorni e che nel settimo si è riposato. E che la Terra è piatta, posata su due pilastri incrociati e circondata dal Leviatano. Il Leviatano però è qui, ora: in mezzo a noi… in questa casa. I nonni erano fuggiti dalla Russia per via dei pogrom, al tempo dello zar, ma a quanto pare non c’è scampo. I cristiani perseguitano gli ebrei; Hitler perseguita gli ebrei e… perseguiterà le chiese cristiane. Un Paul giovanotto scaglia la coperta sul pavimento.

Lo incrociano nel corridoio e gli fanno il saluto nazista. Rumoreggiano. Se lui va al bagno, qualcuno lo interpella rozzamente: «Ce l’hai ‘ne Zigarette?» (Si può teutoneggiare ancora più teutonicamente anche se già si sta parlando Deutsch.) Poco più in là due donne stanno litigando e Paul tira innanzi senza intervenire. Poiché di questa gente non vuol saperne.

«Heil Hitler!»

«Heil!» (Jehova, aiutami tu!)

“Ebreo” non è propriamente una nazionalità. Ma… lui si sentiva tedesco? Beh, se pensava a Nietzsche, Wagner, Bismarck… spiriti che gli erano estranei più che mai… e se esaminava le facce adesso… la fattezza dei crani… In realtà avrebbe dovuto considerarsi di origine russa. Eppure… cosacchi, zar, steppe, la tundra… no, no.

«Hai sentito che trionfi, Kamerad

«Mpf.»

Non deve lasciarsi irretire. In fondo, queste pareti muffose sono molto meglio del Regno dei Morti, l’Ade, lo Sheol. Cioè: molto meglio della stampigliatura ‘J’ – per Jude – sul passaporto e l’aggiunta del nome Israel a quello proprio (a tutte le donne veniva affibbiato il nome Sarah). Molto meglio che la stella a sei punte cucita sul petto. Camuffarsi necesse est. E così: nella miscellanea di volti gialli di rancore, intravvedo la mia figura tuttora stupefatta boccheggiare di fronte all’offesa che purtroppo si ripete con crescente frequenza. Il mio cuore assorbe questi anatemi come una spugna. Straniero in patria; straniero, ad ogni modo. La lingua che parlo viene disconosciuta dalla mia ragione. Il pianeta è uno sfacelo; il pianeta non è mai stato un posto abitabile. Rimane da chiedersi fino a che punto il velo onirico può opporsi al vicino infido, che ti sussurra «Ebreo» sulla nuca.

Stendiamo il braccio nel saluto dovizioso, istrionici. Non dobbiamo capitolare. Non dobbiamo spronarli a gioire. È… pazzesco. Corpi mezzo straziati si trascinano fuori dagli ingranaggi ben oleati, lasciandosi dietro una scia di mucopus e sputando un grumo di sangue dolciastro sullo schermo concavo della tragica attualità che vuol farsi Storia.

Ormai sapeva: non il tempo aveva roso gli anni del padre. Poter almeno salvare alcuni dei suoi quadri! Soprattutto quelli dell’ultimo ciclo: una pittura tutta di getto (come un moderno Veronese). E quale impasto! Caricature impietrite, urlanti, berteggianti. La vita in grigio e in nero oppure la sconquassata giravolta di macchine strombazzanti. Ormai sapeva.

Lui stesso si era imposto di scrivere i suoi pensieri. I ricordi, le sensazioni di quei frangenti. In brutta copia, in bruttissima copia: adesso mancava il tempo per le sforbiciate e i colpi di lima, mancava il tempo per una corretta sintassi. Per lunghe ore rimase chino sui fogli, ma non gli riuscì di vergare una sola riga di senso compiuto. Perciò decise, infine, di andare un po’ in giro, nella sera che avanzava.

Sciacquati la faccia.

Si sciacqua la faccia. Nel farlo, rammenta il nonno e le sue abluzioni, rammenta il famoso copricapo del nonno e il suo pediluvio settimanale in presenza della famiglia raccolta. E la nonna! Similmente alle altre donne della sua generazione, la nonna portava la parrucca. Il rabbino gli aveva spiegato, a questo proposito: gli angeli rubano agli uomini le rispettive mogli se codeste non si sono rasate. Certo, il rabbino doveva saperlo, essendo lui stesso ammogliato.

Le lunghissime barbe dei più anziani, i riccioli sulle tempie… Non tutti gli ebrei scampati ai pogrom nella Russia zarista e nel resto dell’Europa Orientale avevano voluto fermarsi in Germania: per molti, la vera sponda della salvezza si chiamava America.

Nessuno badò a Paul più del necessario quando scese le scale e attraversò il lugubre atrio, lanciando un’occhiata miope al vetusto custode che, con il cranio gialliccio reclinato sul ripiano del gabbiotto, sonnecchiava in maniera così poco germanica. Si lasciò dietro una conversazione slegata, lardeggiata di citazioni dell’uomo al potere (“L’Allemagne c’est moi“) e frasi oscene. Con i denti stretti, cercò d’infilare l’ultimo bottone nell’asola corrispondente.

Ultimo bottone… ultimo dell’anno. Il freddo gli sferza il volto accalorato, la neve comincia ad accumularglisi sulla testa scoperta, sulle spalle, sulle braccia. A un crocevia hanno acceso un falò, ma lui non si arrischia di provare a riscaldarsi al calore di quelle fiamme. I nazisti stanno bruciando i rotoli della Torah. La Torah contiene anche i dieci comandamenti, che sono a fondamento della religione cattolica – tra le altre –, ma la chiesa di Roma non interviene.

Si volge e s’incammina in altra direzione. Si sente abbindolato, truffato, escluso. Rarissime, le ombre solitarie come lui. “Fino a quando, fino a dove potrò vagare?” Ahasver, l’ebreo eterno. Non si fa illusioni sulla durata della sua attuale locazione: la signora, o qualche amico della signora, o tutti assieme, lo smaschereranno prima o poi. Dovrà prevedere la venuta del momento critico, anticiparlo, affardellare i suoi pochi averi e andare a strisciare altrove. Forse potrebbe aiutarlo Monika, chissà… Monika agapanto, Monika fiore d’amore. Aiutarlo a trovare un posto dove vivere. Forse lei potrebbe addirittura nasconderlo. Non è una di quelle ragazze alle quali è stato imposto un secondo nome a guisa di marchio.

La visibilità si è notevolmente ridotta. Da strade vicine risuona il ritmo di stivali in marcia. Passi sospetti alle sue spalle… no, nessuno. Un vero peccato! È una tetra, gelida serata e gli verrebbe quasi voglia di unirsi a quel miscuglio di meschini e prendere parte ai loro ludi assassini. Ogni cosa, pur di non sentirsi solo.

Imbattersi in qualche donnina consolatrice… una fortuna che a lui non capita mai.

Altro falò. Cori fanatici. Per una strana associazione di immagini, si ricordò con tenerezza della cerimonia detta “Luce dei Gatti”. Le coppie anziane sfilano al suono di una musica klezmer (sapor di Medioevo, di tranquilli shtetl o villaggi), la vecchia a destra, il vecchio a sinistra con la candela in mano. E tutti battevano le mani in staccato agli aspri suoni vagamente orientaleggianti. Poi si prendeva d’assalto un dolce caratteristico che aveva la foggia di un gallo…

È una vampa molto alta, questa. Non sono solo i rotoli della Torah, dell’Insegnamento, a combustere. Distruggono anche i testi di autori gojim. Ovviamente ciò non è di consolazione per Paul. Che cosa sta scritto nel Libro di Sohar? “Da quando la Torah è al mondo” sta scritto, “il mondo esiste, perché la Torah è l’albero della vita attraverso cui il mondo trae la propria esistenza. Fino a quando i saggi avranno piacere alla Torah, il Male non avrà il potere.”

Mandano al rogo filosofia, poesia, fantasia. «Mpf.» Gli sembra già di sapere come finirà. Ha a disposizione almeno un parallelo storico: a cominciare dal 1492, dopo aver scacciato gli ebrei, gli spagnoli vissero per decenni nella più assoluta oscurità culturale.

La coltre di neve attutisce i suoi passi. Si arresta all’improvviso e fatica a orientarsi, sebbene questa città sia la sua città. Nel bianco turbinio, i fari di un’automobile si scorgono appena. Anche quando la vettura gli passa vicino, questi fari equivalgono a due lune velate da nubi.

Prosegue piano, con andatura incerta.

Chissà se il fato non gli sia benigno! Chissà se lui non scopre che Monika stasera è sola a casa?

 

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